La prossima fine dell'"economia del petrolio"
Tenendo conto di tutte le riserve mondiali, analizzando separatamente con il metodo di Hubbert tutte le aree petrolifere del pianeta, la loro natura e le loro prospettive future, la conclusione è che il ritmo di estrazione del petrolio raggiungerà un massimo attorno alla fine del presente decennio, e poi incomincerà a diminuire : e verso il 2050 si ridurrà all'incirca alla metà di quello attuale! Per il gas naturale l'andamento è analogo, il picco di estrazione è semplicemente spostato in avanti di 10 - 20 anni , ma la diminuzione successiva è inesorabile. Un'obiezione che viene spesso sollevata è che vi sono ingenti giacimenti di "petrolio non convenzionale" (sabbie e scisti bituminosi. idrocarburi pesanti o in acque profonde), il cui sfruttamento però non solo è problematico dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto, ancora una volta, per la resa energetica.
Quello a cui saremmo di fronte, allora, non sono tanto (o solo) giganteschi interessi, una lotta per la supremazia petrolifera, ma la sopravvivenza stessa delle società industriali, dell'"economia del petrolio". Si tenga presente che il grado di dipendenza di queste società dal petrolio si aggira sull'80 %. Il tutto è aggravato dal fatto che, come ricordano anche gli articoli citati di G&P, si prevede inoltre un enorme incremento della domanda mondiale di questi combustibili fossili: secondo l'ultimo "Annual Energy Outlook" del Dipartimento dell'Energia nordamericano, del 61 % nei prossimi 25 anni, quando invece si estrarrà già annualmente meno petrolio rispetto ad oggi.
Queste fosche prospettive sono state occultate con ogni mezzo dalle compagnie petrolifere, ma oggi la loro evidenza incomincia a fare inevitabilmente breccia: il 25 agosto del 2002 la Shell ha ammesso in una dichiarazione al Sunday Times che "Potremmo vedere scarsità di petrolio dal 2025".
Vi è poi un'ulteriore conclusione che complica il quadro e spiega l'importanza cruciale dell'area mediorientale. Infatti il tasso di estrazione del petrolio nei paesi non-OPEC (che fino ad oggi è stata superiore alla produzione dei paesi OPEC) è già arrivata al massimo in questi anni ed incomincerà a diminuire, per venire superata dalla produzione dei paesi OPEC intorno al 2007. Ricordiamo che all'OPEC (fondato nel 1960) aderiscono attualmente i seguenti paesi: Algeria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Venezuela (Ecuador e Gabon ne sono usciti).
Fino all'ultima goccia
In questo quadro si capisce molto meglio la caparbietà degli Usa nel volere sferrare questa guerra, costasse anche mille miliardi di $, e ridisegnare la geografia politica e l'assetto del Medio Oriente. Non vi è dubbio che gli obiettivi di questa guerra, e di tutta la strategia messa in atto da Washington dopo il crollo dell'Urss con le colossali spese militari connesse, sono molteplici: l'esigenza di supremazia ed egemonia planetaria, le istanze e il ricatto del sistema militare-industriale, il sostegno dell'economia interna, l'indebolimento e la divisione dell'Europa, lo sbarramento della Cina, l'emarginazione della Russia, i giganteschi e di solito taciuti interessi legati al mercato internazionale della droga, uno dei più grossi giri d'affari a livello mondiale. Il problema delle forniture energetiche comunque diviene vitale, non solo per gestire gli enormi interessi futuri, ma per la stessa sopravvivenza di questo sistema: del resto, tutti questi obiettivi, lungi dall'essere in contraddizione, si integrano tra loro. Direi addirittura che George W. Bush, dal suo punto di vista, non può fare altro! Washington ha stracciato il Protocollo di Kyoto; ha stabilito che non vuole (o non può) rallentare la propria locomotiva davanti a nulla; che non ammette problema ambientale, umanitario, globale che possa anche lontanamente ostacolarla. L'America continuerà come ora, o peggio, costi quel che costi, a dispetto di tutto e di tutti: se sarà necessario, "Muoia Sansone e tutti i Filistei".
Ma tra poco non ci sarà petrolio per tutti, ed è vitale stabilire un'assoluta egemonia mondiale, occupare militarmente le regioni strategiche ed accaparrarsi tutto il petrolio che verrà estratto, fino all'ultima goccia. Su queste basi si inquadra tutta la politica di Washington degli anni '90: l'estensione della sua egemonia sul Caucaso e sulle repubbliche ex-sovietiche dell'Asia centrale (G. R. Capisani, "Uzbekistan a stelle e strisce" G&P, n. 86, p. 17; A. Lodovisi, "Povertà senza fine, G&P, n. 95, p.9) e l'occupazione del relativo corridoio dell'Afganistan (G. Monbiot, "Sognando un oleodotto", e F. Schlosser, "Alla conquista dell'eldorado petrolifero", G&P, n. 85, pp. 25, 26), perché l'obiettivo dopo l'Iraq sia l'Iran, la sua politica in America Latina, la sua penetrazione, anche se per ora più discreta, in Africa (C. Jampaglia, "L'Africa cambia", G&P, n. 91, p. 14).
Quello che proprio non si capisce, invece, è l'Europa: possibile che i nostri governanti non capiscano che non potranno stare all'infinito all'ombra, e al servizio del potente alleato di oggi, che quando sulla zattera non ci sarà più posto per tutti verranno buttati a mare senza tanti complimenti anche loro? Come suol dirsi, ... ci sono o ci fanno?
Siamo veramente nelle mani di un gruppo di ladri, furfanti, affaristi senza scrupoli che reggono i destini del mondo e dell'umanità. Perché "un mondo diverso sia possibile" è assolutamente necessario cambiare radicalmente, e al più presto, il modello di produzione e di consumi, i concetti di benessere e di sviluppo: l'"economia del petrolio" non è più sostenibile. Molti sarebbero i problemi connessi al "picco del petrolio" che dovrebbero essere affrontati (le alternative energetiche; le emissioni di CO2, soprattutto se aumenterà il ricorso al carbone; le concomitanti crisi ambientali), ma in questa sede ci premeva soprattutto porre il problema centrale in relazione alla crisi irachena e mediorientale.
fonte: Jura Gentium
Nessun commento:
Posta un commento